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Sullo scorcio della fine del secondo millennio e l’inizio del terzo, si presentarono diversi anniversari di incoronazioni. Li ricordiamo in ordine cronologico: ricorse infatti il milleduecentesimo dell’incoronazione di Carlo Magno, che avvenne la notte di Natale dell’800 nella Basilica di San Pietro in Roma per mano di papa Leone III; era appena trascorso il millesimo anniversario di quella di Ottone III che verso la fine I millennio (nel 996), sempre a Roma, fu incoronato per mano di papa Gregorio V. Ma soprattutto ricorse il cinquecentesimo della nascita di Carlo V che proprio a Bologna, nel cuore della città –nella cappella Farnese di Palazzo d’Accursio e nella Basilica di San Petronio-  fu incoronato prima re d’Italia con l’imposizione della Corona ferrea, poi, il 24 febbraio 1530, nel giorno del suo trentesimo compleanno, imperatore con l’imposizione della Corona imperiale per mano di Clemente VII:  fu l’ultima incoronazione di un imperatore per mano di un pontefice, e rese Bologna una seconda Roma.

In quei giorni Bologna fu il vero centro del mondo, ospitando il potere imperiale e il potere religioso, cioè l’imperatore e il papa, insieme uniti a legittimarsi vicendevolmente: tale unione fu resa pubblica e universale proprio nella comune cavalcata di Papa e Imperatore.

Carlo V fu a Bologna dal novembre del 1529 al marzo del 1530: si fece qui incoronare prima re d’Italia, il 22 febbraio, nella cappella Farnese di Palazzo d’Accursio, poi imperatore, il 24 febbraio, giorno del compleanno, nella Basilica di San Petronio.

Per due mesi Clemente VII e Carlo V furono ospiti della città: Clemente era entrato in Bologna il 21 ottobre 1529, Carlo V il 5 novembre; convissero nello stesso palazzo. Durante il loro soggiorno fu proclamata, il 23 dicembre, la pace universale, pubblicata il 31 dicembre e festeggiata l’1 gennaio.

Si era a tre anni dal sacco di Roma dei luterani lanzichenecchi mercenari di Carlo, che avevano cercato ovunque nella città la Veronica, non si sa se per distruggerla o farne omaggio al loro re. La devastazione lanzichenecca non fu estranea alla scelta di effettuare il rito a Bologna, seconda città dello Stato Pontificio, dato che Roma, la prima, versava in pessime condizioni e portava memoria fin troppo viva della presenza germanica, necessaria compagna di Carlo V.

Il rito dell’incoronazione imperiale viene ripetuto secondo il rituale pontificio del Caerimoniale Romanorum, e ad esso si aggiunse il rito, due giorni prima, dell’incoronazione con la corona ferrea, appositamente fatta venire da Monza, non senza che Carlo V si fosse premurato di farsi dare garanzie adeguate sulla identità della corona che gli veniva portata.

La corona utilizzata per l’incoronazione imperiale fu la Reichskrone: purtroppo però le fonti iconografiche non la rappresentano con chiarezza e non la rintracciamo né nelle famose stampe  né nel grande affresco di Luigi Scaramuccia (1616-1680) della sala Farnese di palazzo d’Accursio. Nell’uno e nell’altra rappresentazione si tratta di una corona con archi incrociati alla sommità, ma non si rintracciano le forme precise della Reichskrone, della cui presenza si è per altro certi.

La presenza del pontefice, ma soprattutto le prescrizioni rituali imponevano questa specie di rappresentazione, perché solo la fedeltà al rito avrebbe convalidato la cerimonia.

L’incoronazione diede luogo a cerimonia il cui più singolare tratto è l’aver fatto di Bologna una seconda Roma: e questo perché l’incoronazione, per essere “valida” e accettabile dai sudditi, doveva avvenire in Roma. E allora, se Roma era “proibita”, perché non fare una seconda Roma, replica dell’originale, atta a rendere valido il rito.

Pontefice e Imperatore procedettero affiancati, come in un dialogo di forze: mentre però il Pontefice porta in capo l’emblema della sua autorità, il Triregno, Carlo V in capo, in questa come in altre rappresentazioni, porta la corona absburgica, non quella imperiale: questa è portata solennemente avanti a lui, come se fosse dotata di una sua autonomia.

La prima incoronazione avvenne nella Cappella del Cardinal Legato, la Cappella detta poi Farnese, affrescata con storie della vita di Maria e di Gesù.  Realizzata nei primi anni del sec. XVI, al tempo del primo Cardinal Legato, Basilio Bessarione[1], fu detta poi Farnese in onore di papa Paolo III, al secolo Alessandro Farnese. In questa cappella, opera di Aristotele Fioravanti, architetto del Comune, Carlo V fu  incoronato con la Corona Ferrea, fatta venire appositamente da Monza. Tale incoronazione era necessaria premessa all’incoronazione imperiale.

Oggi sconsacrata, la Cappella fu affrescata da Prospero Fontana con otto Storie della vita della Vergine e, nella fascia sottostante le Storie dell’infanzia di Cristo, in monocromia; il ciclo pittorico, mutilo per interventi successivi, è stato recentemente restaurato. Il cardinale Girolamo Farnese poi realizzò l’adiacente sala Farnese, che, per l’incoronazione di Carlo V, fu detta anche Sala Regia. Qui si trovano affrescati episodi, vere glorie della storia bolognese: i dipinti si devono a un gruppo di artisti coordinati da Carlo Cignani: San Petronio concede il privilegio teodosiano (Carlo Cignani-Emilio Taruffi), Francesco I risana i malati di scrofola (Carlo Cignani-Emilio Taruffi), L’ingresso di Paolo III in Bologna (Carlo Cignani-Emilio Taruffi) , Il Cardinale Albornoz esamina i progetti per i lavori alla Chiusa di Casalecchio e al canale di Reno (Antonio Catalani e Girolamo Bonini), L’incoronazione di Carlo V a Bologna (Luigi Scaramuccia)  La restituzione della Sacra Benda di Maria Vergine (Lorenzo Pasinelli), La Vergine di San Luca fa cessare le piogge (Girolamo Bonini) , Urbano II benedice l’insegna della croce (Giovanni Maria Bibbiena e Bartolomeo Morelli)

Per il passaggio del corteo dal Palazzo del Legato a San Petronio, si costruì un piano inclinato tra il primo piano del palazzo e il portale della basilica, in sostituzione del percorsi d’ingresso in Roma; sempre in legno vennero costruite, prima dell’ingresso, due cappelle in sostituzione di quelle di Santa Maria “inter Turres” e di San Gregorio, dove il futuro imperatore doveva essere accolto tra i canonici di San Pietro, rivestito degli abiti liturgici, e proseguire poi  entrando in basilica per fermarsi alla rota porfiretica[2], anch’essa ricostruita.

Nella Basilica di San Petronio, che fungeva in tal modo da Basilica di San Pietro, l’attuale cappella di sant’Abbondio porta ancor il ricordo della sosta di Carlo V per rivestire il manto imperiale; effettuata l’incoronazione, la sovrapposizione di Roma su Bologna continuò nel percorso fino alla basilica di san Domenico, che per l’occasione fece le veci di quella di San Giovanni in Laterano.

.Il corteo che seguì l’incoronazione uscì dai portali del Palazzo, attraversò la piazza Maggiore, e, passando sotto un arco, prese poi la Strada Maggiore fino alla chiesa (oggi non più esistente) di San Tommaso (San Tommaso di Strada Maggiore o della Braina era chiesa parrocchiale[3], situata tra Strada Maggiore via Guerrazzi , allora via Cartoleria Nuova). Il corteo si  volse quindi a destra verso via Cartoleria Nuova, giunse a piazza San Biagio (vi si affacciava la chiesa di San Biagio o di Santa Maria dei Servi, legata a un hospitale[4] per pellegrini situato sulla via Santo Stefano fra gli attuali vicolo Pusterla e via Guerrazzi), poi per via Santo Stefano, passò di fronte a Palazzo Zampieri e infine  percorse Strada della Clavature: qui il pontefice congedò l’imperatore e tornò a Palazzo Pubblico, dove era la residenza del Cardinal Legato.

Carlo V invece proseguì il percorso: da via Clavature prese per via de’ Toschi e giunse, attraversando piazza de’ Calderini, alla basilica di San Domenico, che fungeva da San Giovanni in Laterano: qui doveva investire alcuni nobili di titoli nobiliari. Si sparse la voce che il neo imperatore avrebbe nominato cavalieri chiunque fosse entrato in San Domenico mentre lui vi era presente. E’ tradizione popolare bolognese che Carlo V fece la sua parte regolarmente fino a quando, impressionato dalla folla molto incombente che continuava a entrare, proclamò ad alta voce: “Todos Caballeros”, protetto dalle sue guardie, e , protetto dalle sue guardie, si dileguò attraverso la sagrestia e il primo chiostro.

La grandiosa cerimonia è stata narrata in diverse forme[5] , con cronache gustose e precise, veri istant book ante  litteram.

Fra queste opere si distingue una stampa che rappresenta per intero il Corteo trionfale di Carlo V e Clemente VII, opera di Nicolaus Hogenberg[6] . Si tratta di una serie di stampe unite a formare un “corteo” lungo dodici metri, che presenta tutte le componenti del corteo imperiale: i militari, i vessilli del Comune precedono i Magistrati, i vessilli dei Collegi precedono i Dottori di Diritto canonico; seguono: mons. Uberto de Gambara, Vice-legato papale e Governatore di Bologna; il vessillo di Bologna con la scritta LIBERTAS portato dal conte Angelo Ranuzzi; lo stendardo del popolo Romano con la scritta SPQR portato dal conte Giuliani Cesarini, affiancato dal Barone di Utrecht, Ciambellano dell’imperatore; Don Juan Manrique, con lo stendardo imperiale con l’aquila bicipite; Lorenzo Cibo,  capitano della guardia papale, con lo stendardo della Crocifissione portato nella guerra contro i Turchi; il conte Ludovico Rangone, con lo stendardo con la tiara e la chiavi pontificie; Lionetto Mazzara da Teano con lo stendardo dell’arme dei Medici[7]; quattro cavalli condotti dai palafrenieri; sei cappellani onorari del Papa, seguiti da segretari, avvocati, ufficiali della corte papale e Auditori di Sacra Romana Rota; trombettieri; i corinofori, portatori di verga, custodi delle porte dell’imperatore; quattro araldi; sei ambasciatori: Mons. Giovanni Alberino con la tripla croce pontificia;  con verghe e insegne; un prelato che regge la tiara; due prelati con candelabri accesi; dodici senatori di Bologna, con candele accese; l’Ostia consacrata in una preziosa custodia, in una teca sopra un cavallo, sotto un baldacchino; il sacrista del Papa, Mons. Gabriele Toschi; una folla di nobili, dignitari a cavallo, i maestri di palazzo di Carlo V, accompagnati da Lanzichenecchi; Adriano Conte, Gran Maggiordomo, porta l’ordine del Toson d’oro; un araldo che getta monete ; Bonifacio Paleologus, marchese del Monferrato, con lo scettro imperiale; Francesco Maria della Rovere, Duca di Urbino, con la spada; Filippo, Conte del palatinato del Reno e Duca di Baviera porta il globo sormontato dalla croce, Carlo, Duca di Savoia, porta la corona imperiale; guardie imperiale; Papa Clemente VII e Carlo V, sotto il baldacchino con l’aquila bicipete; Enrico Conte di Nassau, col Toson d’oro; l’Arcivescovo di Bari  accompagnato da prelati e vescovi; Nicola Perrenot e Michele Maio, con molti dottori di diritto canonico di Bologna, poi ancora dottori dello Studio; tamburi che precedono i cavalieri dell’Imperatore; trombettieri e cavalieri; e ancora militari, con una selva di lance, i baroni di Viera e S. Saturnino; fanti tedeschi e spagnoli; Antonio di Leyva, seduto perché malato di gotta; soldati in marcia con artiglierie; immagini di festa: la fontana con l’aquila bifronte che dava vino; l’arrosto di un bue  farcito di altri animali; distribuzione di pane. Il grande corteo termina con una festa popolare, secondo le più classiche tradizioni[8], pure rappresentata nella stampa.

Una copia della stampa dell’Hogenberg si trova presso la Biblioteca dell’Archiginnasio, e si tratta di un unicum in assoluto, dato che è la meglio conservata fra le poche copie realizzate.

Fu evidentemente, come per altro ogni processione anche piccola lo è della Chiesa, come una grande e meditata rappresentazione dell’impero, completa di ri-presentazione dei luoghi significativi del rito più fondante, quello in cui l’imperatore veniva consacrato e quindi legittimato, e poi si mostrava a tutto il popolo: tutte le componenti del potere furono presenti, ognuna secondo il suo ruolo e con le sue insegne.

Anche il popolo, evidentemente, anche se non quello romano, forzatamente assente, era rappresentato: non mancarono i suoi vessilli, e la festa sostituisce l’acclamazione, che fin dall’epoca di Davide troviamo dei racconti delle consacrazioni.
Si notano, nel corteo, le rappresentanze del popolo romano con i relativi vessilli, e si noti ancora che le insegne imperiali, la spada, lo scettro e la soprattutto la corona sono portate in processione al pari del Santissimo Sacramento: si tratta dunque di un momento di fondazione della vita sociale, che si coagula intorno ai punti di riferimento essenziali, il legittimo potere civile e l’autorità spirituale.

E’ possibile dunque un ideale percorso sui passi del Papa e dell’Imperatore, dal Palazzo del Legato, alla Basilica di San Petronio, al percorso del corteo, facendo memoria delle scomparse chiese di san Tommaso e di San Biagio, fino alla Basilica di San Domenico.

[1] Basilio, nato a Trebisonda nel 1403, divenne monaco basiliano con nome di Bessarione,  fu diplomatico di successo negli ambienti bizantini, stimato dell’imperatore Giovanni VIII Paleologo; nel 1437 fu nominato arcivescovo di Nicea e nel 1438 venne in Italia. Fu creato cardinale dal papa Eugenio IV nel 1439, e nel 1450 papa Nicolò V lo nominò legato a latere per Bologna, per la Romagna e la Marca di Ancona. Mantenne pace e ordine in Bologna, con l’aiuto del partito dominante e del suo capo Sante Bentivoglio. Dopo intensa attività diplomatica, morì a Ravenna nel 1472.

[2] Il pavimento della basilica era ricoperto di pietre di porfido, cioè di colore rosso, che formavano una croce: su una di queste si fermava il futuro imperatore, per soste rituali. Ce n’erano tre nella primitiva basilica di san Pietro, e la terza si trovava davanti all’altar maggiore. Cfr.: H-Zug Tucci, Le incoronazioni imperiali nel Medioevo. in Cfr. Paolo Prodi, L’incoronazione bolognese di Carlo V, in Adveniat regnum – La regalità sacra nella storia dell’Europa cristiana, a cura di Franco Cardini e Maria Saltarelli, Name – Centro Editoriale Italiano Telematico

[3] Occupava l’angolo esterno del quadriportico della Basilica di Santa Maria dei Servi. Fu soppressa come parrocchia nel 1798, chiusa al culto nel 1828, acquistata dal Comune fu abbattuta e si completò la costruzione del suddetto quatriportico.

[4] Unica traccia della presenza di questo hospitale e della dimensione ospedaliera rimangono: l’attuale Farmacia del Corso, realizzata quando i piccoli ospedali furono conglobati nell’Ospedale Maggiore di Santa Maria della Vita e della Morte, realizzato in via Riva di Reno e una immagine della Vergine, da decenni invisibile per restauri, sulla facciata che dà su via Santo Stefano.

[5] Il volume Carlo V a Bologna nel 1530 a cura di R,Righi e G.Sassu, Bologna 1999,  li elenca e li riproduce.

[6] Nicolaus Hogenberg, nato a Monaco nel 1500 fu attivo alla corte di Margerita d’Austria dal 1529 alla sua prematura morte nel 1539. Della stampa non si conoscono molti esemplari, e uno di questi si trova presso la Biblioteca dell’Archiginnasio di Bologna, uno presso la Biblioteca Universitaria, uno a Urbania, uno, acquarellato, è attualmente proprietà della galleria Sothebys.

[7] Clemente VII era un Medici.

[8] Cfr. Paolo Prodi,  L’incoronazione bolognese di Carlo V,  in Adveniat regnum – La regalità sacra nella storia dell’Europa cristiana, a cura di Franco Cardini e Maria Saltarelli, Name – Centro Editoriale Italiano Telematico; J.T.Spike, Il corteo trionfale di Carlo V , edizioni Biblioteca e Civico Museo di Urbania, Urbania 1999.